13 Jul 2010

Vital Signs 2010: ecco come sta il nostro Pianeta

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Gianfranco Bologna
Tratto da GreenReport.it

ROMA. Il recente rapporto del Worldwatch Institute “Vital Signs 2010” (pubblicato dalla Norton , vedasi il sito www.worldwatch.org e http://vitalsigns.worldwatch.org ) costituisce una straordinaria messa a punto dei dati più aggiornati su numerosi indicatori fondamentali relativi allo stato di salute dei sistemi naturali e dei sistemi sociali sul nostro bellissimo Pianeta. Il rapporto ha la capacità di illustrare, in poche pagine e con grafici chiari e riassuntivi, lo stato della situazione mondiale in campi fondamentali per tutti noi, relativi agli andamenti della popolazione , alle quantità e modalità di uso delle risorse naturali come quelle energetiche e alimentari, a importanti informazioni relative alla nostra economia e le nostre società (come, ad esempio, il PIL planetario, le spese mondiali di pubblicità, le spese per armamenti, ecc.) ed allo stato di salute dei sistemi naturali (i cambiamenti climatici ed i loro effetti, lo stato della biodiversità ecc.). Si tratta di un volume fondamentale che accompagna l’ottimo e più famoso rapporto annuale “State of the World” del quale più volte abbiamo parlato nelle pagine di questa rubrica (edito ogni anno in italiano da Edizioni Ambiente).

Credo sia utile, tra i tanti dati, soffermarci ad analizzarne alcuni relativi alla nostra alimentazione perché come ci ricorda Lester Brown, nel suo “Piano B 4.0” (più volte citato in questa rubrica ed edito sempre da Edizioni Ambiente) la perdita globale di vitalità nell’espansione della produzione alimentare, ci costringe seriamente a pensare alla riduzione della domanda stabilizzando la crescita demografica, semplificando i livelli della catena alimentare e riducendo l’impiego dei cereali nella sintesi di biocarburanti. Uno degli obiettivi previsti dal Piano B proposto da Lester Brown ,è infatti quello di arrestare la crescita della popolazione mondiale, che dovrebbe limitarsi a 8 miliardi entro il 2040. Ciò richiederà uno sforzo educativo che deve coinvolgere tutta la popolazione e deve aiutare a far comprendere a tutti quanto il rapporto fra noi e gli ecosistemi che ci supportano si stia rapidamente deteriorando. Ciò significa anche che abbiamo bisogno di una terapia immediata e sostanziosa per poter rendere disponibili i servizi di salute riproduttiva e di controllo demografico a quei più di 200 milioni di donne che oggi vogliono pianificare le loro famiglie, ma che non hanno accesso ai mezzi per poterlo fare.

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15 Apr 2010

Energia e futuro al liceo A.M. Roveggio

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Ssabato 10 aprile Perlablu è tornata al Liceo Scientifico “A. M. Roveggio” gentilmente invitata da Nicolo Moretto, rappresentante d’istituto e organizzatore dell’assemblea con tema l’ambiente, i cambiamenti climatici ed picco del petrolio”.

Conclusa la proiezione del documentario prodotto da Leonardo Di Caprio  “L’undicesima ora” il presidente di Perlablu, Leonardo Boggian , ha introdotto il relatore dell’assemblea Mirco Rossi, membro di ASPO Italia, noto divulgatore scientifico e autore del libro “Energia e futuro. Le opportunità del declino “.

20 Dec 2009

Copenaghen flop

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di Edoardo Zanchini – lanuovaecologia.it.

Impegni volontari e su base nazionale, senza verifica né scadenze.

Il vertice si chiude con un accordo che delude le speranze del mondo. I cambiamenti climatici però non si fermano.

E nemmeno il processo per un trattato vincolante.

COPENAGHEN – La più importante, partecipata, disorganizzata conferenza delle Nazioni Unite non è riuscita a dare al Mondo la risposta che si aspettava per fermare i cambiamenti climatici. Dopo due settimane di discussione con l’intervento di 120 tra Capi di Stato e di Governo, la distanza tra le posizioni dei diversi Paesi si è rivelata alla fine incolmabile sui punti più delicati di trattativa. E solo nelle ultime ore si è scongiurata una rottura completa delle trattative che avrebbe riportato la discussione indietro di 20 anni. L’accordo uscito dal vertice non è la risposta che serve alla crisi climatica: gli impegni di riduzione sono solo volontari e su base nazionale, ed è tutto rinviato per quanto riguarda lo stabilire metodi di controllo e verifica di tali riduzioni e le scadenze precise per la sottoscrizione di un trattato internazionale.

Eppure mai il mondo era stato così vicino a un accordo internazionale che avrebbe permesso di superare il Protocollo di Kyoto nel fissare nuovi e più ambiziosi obiettivi per tutti i Paesi e nel sostegno finanziario agli interventi di mitigazione e adattamento nei Paesi poveri sia nel breve che nel medio periodo. Tutte queste decisioni sono rinviate, si spera al prossimo vertice di Bonn con la speranza di affrontare e risolvere finalmente i punti più delicati. Nel frattempo però il cambiamento climatico non si ferma, anzi obbliga a lavorare con ancora maggiore impegno per arrivare finalmente a un accordo vincolante che spinga le soluzioni capaci di dare risposte per i cittadini delle diverse parti del Pianeta.

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24 May 2009

Su «Le Scienze»: Hamburger a effetto serra

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Centro Internazionale di Ecologia della Nutrizioneco2'

Nel numero di aprile di Le Scienze sono riportate diverse informazioni e statistiche sul consumo di carne in tutto il mondo, e l’articolo “Hamburger a effetto serra” sottolinea ancora una volta come la produzione di carne – e non solo di carne bovina, ma di tutti i tipi di carne – causi enormi emissioni di gas serra, molto maggiori rispetto ad altri settori di produzione.

L’articolo si conclude con un’esortazione chiara, che purtroppo di solito manca negli articoli sullo stesso tema delle riviste divulgative: quella a diminuire il consumo di carne. L’autore, Nathan Fiala, dottorando in Economia all’Università della California a Irvine, afferma nella conclusione: “Negli Stati Uniti e il resto del mondo sviluppato la gente potrebbe mangiare meno carne, in particolare bovina”.

Il dott. Fiala inizia il suo articolo notando come la maggior parte di noi sia consapevole delle conseguenze negative prodotte sull’ambiente dalle auto su cui viaggiamo, dalla’energia che consumiamo in casa o per la produzione industriale, ma invece quasi nessuno si renda conto che “la carne presente nella nostra dieta è responsabile dell’immissione in atmosfera di una quantità di gas serra – anidride carbonica (CO2), metano, ossido di azoto e simili – maggiore di quella immessa dai mezzi di trasporto o dalle industrie”.

Eppure questi dati sono noti già da qualche anno: la FAO stessa nel suo dossier del 2006 “Livestock’s long shadow” (La lunga ombra del bestiame) attesta come il settore della produzione di carne sia causa del 18% delle emissioni totali di gas serra dovute alle attività umane, una percentuale simile a quella dell’industria e molto maggiore di quella dell’intero settore di trasporti (che ammonta a un 13,5%).

Certamente qualsiasi alimento che consumiamo, sottolinea il dott. Fiala, comprese frutta e verdura, implica dei costi ambientali, ma questi costi per la produzione di frutta e verdura sono niente rispetto a quelli necessari invece per la produzione di carne e altri alimenti animali.

In un rapporto preparato per la città di Seattle, Daniel J. Morgan dell’Università di Washington, ha calcolato che coltivare circa 225 grammi di asparagi in Perù per poi importarli negli USA genera un totale di 91 grammi di gas serra CO2 equivalenti. Ebbene, Susan Subak, economista ecologica all’Università di Seattle ha calcolato, nel 1999, che per produrre 450 grammi di carne di manzo si generano 6,7 kg di gas serra CO2 equivalenti, cioè, a parità di peso, 36 volte tanto rispetto agli asparagi!

Questo è dovuto a vari fattori, viene spiegato nell’articolo su Le Scienze: alle emissioni di metano dei bovini durante il processo digestivo; al “fattore di conversione”, cioè al fatto che allevare un animale richiede un’igente quantità di mangime (coltivato appositamente) per unità di peso corporeo; e ai rifiuti prodotti dagli allevamenti.

In merito al rapporto di conversione, l’articolo spiega che nel 2003 Lucas Reijnders, dell’Università di Amsterdam e Sam Soret della Loma Linda University hanno stimato che per produrre un kg di proteine da carne bovina servono più di 4,5 kg di proteine vegetali, con tutte le emissioni di gas serra che implica la coltivazione di cereali per i mangimi.

Le stime del dott. Fiala confermano chiaramente che lo spreco dovuto alla trasformazione vegetale-animale vale per ogni specie: per produrre 450 grammi di carne di maiale si genera l’equivalente di 1,7 kg di CO2, per il pollo 0,5 kg, che sono, rispettivamente, 9 e 3 volte di più rispetto all’impatto della produzione di asparagi, e gli asparagi, tra i vegetali, sono tra quelli a più alto impatto. Il confronto con altri vegetali, più basilari per l’alimentazione umana, è ancora più a favore del consumo di vegetali anziché di carne nella dieta quotidiana delle persone.

Inoltre, i numeri sopra citati valgono per un tipo specifico di allevamenti, quelli che seguono il sistema “CAFO”, vale a dire allevamenti intensivi basati sui “recinti da ingrasso”. Altri tipi di allevamenti sono anche di molto peggiori, in termini di impatto sull’ambiente: i dati FAO indicano che le emissioni medie mondiali generate per le produzione di 450 grammi di manzo sono diverse volte superiori rispetto alle quantità generate col sistema CAFO.

Eppure, il comsumo globale di carne è in aumento di anno in anno: i dati del World Watch Institute del 2009, sempre riportati sul numero di aprile di Le Scienze, ci dicono che solo dal 2007 al 2008 si è passati da 275 a 280 miliardi di tonnellate di carne prodotta; i tre maggiori produttori che sono la Cina, gli USA e il Brasile. I paesi industrializzati continuano ad avere consumi molto alti, mediamente 80 kg di carne pro-capite l’anno. I paesi in via di sviluppo sono a quota 30 kg l’anno pro-capite, ma lì i consumi stanno aumentando vertiginosamente: il 60% della produzione globale di carne viene oggi dai paesi in via di sviluppo, che copiano il modello profondamente sbagliato e ambientalmente insostenibile dei paesi industrializzati.

Nell’articolo “Hamburger a effetto serra” troviamo anche altri dati interessanti, che confrontano le emissioni CO2 equivalenti derivanti dalla produzione di una data quantità (225 grammi) di vari cibi confrontata con le stesse emissioni di un viaggio in auto. Si scopre così che per la produzione di 225 grammi di patate si emette una quantità di CO2 pari a quella generata dal guidare un’auto per 300 metri. Per la stessa quantità di asparagi, è come guidare la stessa auto per 440 metri. Per la carne di pollo, molto di più: 1,17 km, per il maiale 4,1 km, per il manzo 15,8 chilometri.

Tutto questo è chiaramente non sostenibile, ma la buona notizia è che la soluzione è a portata di mano, e alla portata di tutti. Non dipende dalle istituzioni internazionali o dai governi nazionali, ma solo da ciascuno di noi: diminuire – il più possibile – il consumo di carne e di altri alimenti animali come latte e uova è qualcosa che possiamo fare subito, abbiamo il potere e la responsabilità di farlo.

Fonti:

Le Scienze, “Hamburger a effetto serra” e “La produzione di carne”, aprile 2009

Fiala N., “Meeting the Demand: An Estimantion of Potential Future Greenhouse Gas Emission from Meat Production”, Ecological Economics, vol. 67, n. 3, pp. 412-419, 2008

Articolo originale: http://www.nutritionecology.org/it/news/news_dett.php?id=751&

23 Aug 2008

“In marcia per il clima… fermiamo la febbre del pianeta”.

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Milano – Sabato 7 Giugno ’08. Una nutrita e motivata rappresentanza dei soci di “Perla Blu” (circa 15 persone), in compagnia degli altri circoli ambientalisti della provincia di Verona, si è recata a Milano (piazza San Babila) per aderire all’iniziativa nazionale promossa da Legambiente “In marcia per il clima … fermiamo la febbre del pianeta”. Si è trattato di un’esperienza che ha visto marciare una società civile molto variegata, composta da associazioni, da ambientalisti e simpatizzanti giovani, adulti e anziani di tutta Italia, con l’obiettivo di dar voce all’idea di un futuro più sostenibile e desiderabile.
Il tutto veicolato da una manifestazione allegra, variopinta e ben gestita in cui hanno trovato spazio problematiche locali ma soprattutto tematiche che affliggono l’intera umanità quali il riscaldamento globale e tutti i dissesti ambientali da esso derivanti.
La marcia per clima è stata pure l’occasione in cui promuovere ed appoggiare forme di energia rinnovabile (enormemente in ritardo nella loro applicazione e diffusione in Italia) al fine di fronteggiare i problemi legati all’emissione di CO2 in atmosfera i quali stanno rendendo il pianeta Terra sempre più febbricitante e malato.