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22 Feb 2010

Le 10 bugie più ricorrenti sul nucleare

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Titolo :”Le dieci bugie sul nucleare” ovvero come sbugiardare i pro-nuclearisti. Prodotto da “Comitato antinucleare di legnago e bassa veronese”. Per i presenti fra i colognesi che sabato pomeriggio sono venuti all’assemblea molto partecipata di Legnago sul nucleare a Torretta,  questa presentazione in pdf è la medesima usata in quella sede.

Le 10 bugie in breve:

1. “Il nucleare è necessario per il rispetto degli accordi internazionali sui cambiamenti climatici”

FALSO!

2. “Il nucleare può convivere con rinnovabili ed efficienza”

FALSO!

3. “Il nucleare diminuirà la bolletta energetica del Paese”

FALSO!

4. “Il nucleare ridurrà le importazioni dell’Italia?

FALSO!

5. “Il nucleare garantirà la diversificazione delle fonti energetiche italiane”

FALSO!

6. “I reattori EPR sono un gioiello della tecnologia e assolutamente sicuri”

FALSO!

7. “Il nucleare non emette gas serra”

FALSO!

8. “Nel mondo è in corso un rinascimento nucleare”

FALSO!

9. “Il nucleare garantirà una maggiore occupazione al nostro Paese”

FALSO!

10. “Sulle localizzazioni delle centrali decideranno gli enti locali e le popolazioni, non il governo”

FALSO!

22 Jan 2010

Il Codex Alimentarius, la paura alimentare del nuovo decennio

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Quanti di voi hanno sentito parlare del Codex Alimentarius? Di sicuro pochissimi. Eppure si tratta di un argomento che ci tocca da vicino visto che riguarda la nostra alimentazione e quindi la nostra salute.

Il Codex Alimentarius è un sistema normativo che fissa 3.200 limiti massimi sui residui di pesticidi e farmaci veterinari ed è formato da 200 codici in materia di alimenti e 40 sull’igiene. Quest’opera titanica è frutto del lavoro di una commissione intergovernativa, chiamata appunto commissione del Codex Alimentarius, attualmente finanziata e condotta dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e dall’Organizzazione per gli alimenti e l’agricoltura (Fao). Si tratta dunque di un insieme di norme che determinano gli standard di sicurezza alimentare per 181 Paesi del mondo, circa il 97% dell’intera popolazione del globo.

In ogni Stato queste norme sono però in vigore in maniera parziale, visto che ogni Nazione ha le proprie regole per quanto riguarda la varietà di additivi e la concentrazione massima permessa negli alimenti sia destinati all’essere umano che agli animali. In poche parole il Codex mette a punto gli standard per tutti gli alimenti possibili, siano essi preparati, semipreparati o crudi, e per la distribuzione verso il consumatore. Riguarda inoltre tutto ciò che concerne l’igiene alimentare, gli additivi alimentari, i pesticidi, i fattori di contaminazione, l’etichettatura e la presentazione, i metodi di analisi e di prelievo.

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20 Nov 2009

Ecosistemi: ecco le soluzioni che l’economia ignora

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di Gianfranco Bolognagreenreport.it.

Anche se molti continuano ancora a far finta di niente e pensano che l’attuale crisi economica finanziaria sia dovuta solo a qualche eccesso di finanziarizzazione del sistema economico che, prima o poi, rientrerà, comincia invece a farsi sempre più diffusa e solida la consapevolezza che la crisi ci sta inviando anche segnali molto chiari sull’insostenibilità dei nostri attuali modelli di sviluppo, basati sul perseguimento di una continua crescita materiale e quantitativa.

La crisi economica è anche un sintomo della più ampia crisi sociale, ambientale e di valori delle nostre società industrializzate e degli effetti perversi che i fenomeni di globalizzazione, completamente fuori controllo, hanno prodotto in tutto il mondo. Come ha brillantemente ricordato il noto giornalista americano, tre volte premio Pulitzer, Thomas L. Friedman, nel suo bel volume “Hot, Flat and Crowded” (edito nel 2008 da Allen Lane), ormai il mercato e madre Natura hanno sbattuto contro il “muro”. E’ urgente e necessaria una profonda virata per avviare i nuovi percorsi delle nostre società su sentieri più sostenibili.
28 May 2009

Eco perchè il fotovoltaico è meglio dei BTB

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Con l’attuale regime di incentivi il rendimento annuo è del 9 per cento contro il 4,6 per cento dei Btp…

ilsole24ore

Bolletta azzerata e incentivi del Conto energia: grazie a queste due voci una famiglia media può guadagnare ogni anno più di mille euro e risparmiarne altri 500. Come nel caso-tipo della famiglia Zardi di Casatenovo (Lecco), la cui passione per il risparmio energetico è stata raccontata il 26 maggio nel Rapporto Sviluppo sostenibile, allegato al Sole 24 Ore.

Come ha mostrato, dati alla mano, il “capofamiglia” Luciano Zardi, ingegnere informatico, per l’esattezza negli ultimi 12 mesi il risparmio sulla bolletta è stato di 543 euro, a cui si sono aggiunti 1.329 euro ricevuti per il Conto energia. Totale: 1873 euro.

Di questo passo i 16.306 euro dell’investimento iniziale per l’impianto da 2,45 kWp si recuperano in meno di nove anni. In vent’anni, a questi ritmi, il guadagno al netto dell’investimento sarà di poco superiore ai 21mila euro.

La passione per il fotovoltaico non è isolata: nonostante la contrazione dei consumi e degli investimenti che stiamo vivendo, il numero di famiglie italiane che stanno spendendo 14mila-20mila euro per un impianto fotovoltaico è in forte ascesa. L’occasione è ghiotta (il sistema di incentivi per il fotovoltaico è il migliore d’Europa); tra Conto energia e scambio sul posto, l’investimento rende più dei BoT e dei Btp (tema anticipato dal Sole 24 Ore Rapporti del 3 febbraio, poi pubblicato sul sito del Sole 24 Ore e linkato in 1.130 altri siti italiani).

Per dimostrare questa tesi, Il Sole 24 Ore si è avvalso dello studio Energy & strategy group del Politecnico di Milano (la ricerca è scaricabile previa registrazione) e della consulenza della società Ecoclima di Besana Brianza, che ha fornito preventivi-tipo per costruire il conto economico. La simulazione, naturalmente, è al netto di discorsi come la convenienza di investire su una casa dalla quale, dopo l’installazione, per 25 anni conviene non traslocare, o come alcuni ritardi denunciati negli ultimi mesi sull’allacciamento alla rete generale, per immettere l’energia prodotta in surplus e rivenderla a tariffa iper-agevolata.

Partiamo dall’indice più significativo: il tasso interno di rendimento (Tir o Irr, tasso annuale di ritorno effettivo che un investimento genera). Quello medio di un impianto fotovoltaico residenziale integrato architettonicamente è del 9 per cento. Vale a dire il doppio del rendimento dei Btp con scadenza nel 2034 (25 anni da oggi, una durata pari alla vita media di un impianto): quelli dell’asta del 19 maggio garantivano il 4,6% netto (il 5,25% lordo). Secondo la simulazione effettuata dalla Ecoclima, un impianto da 14mila euro Iva inclusa, dalla potenza di 2,1 kW, in Italia centrale e con integrazione architettonica parziale, garantisce un introito di 1.793 euro all’anno (1.264 da Conto energia e 529 da scambio sul posto).

Ma la redditività e il tempo di “pay back” dipendono da tanti fattori: gli impianti sono tanto più convenienti quanto più sono integrati architettonicamente e di potenza ridotta. Inoltre i sistemi piccoli sono favoriti dal fisco, perché al di sotto dei 20 kW, almeno se destinati alle famiglie, non sono soggetti a Iva e alle altre forme di tassazione. Conta molto anche la zona geografica. Favoriti, a causa del maggiore irraggiamento solare, sono ovviamente il Sud e la Sicilia in particolare.

Per farsi un’idea precisa del ritorno dell’investimento un utile strumento è un simulatore messo a punto da Alessandro Caffarelli, ingegnere considerato uno degli esperti maggiore nel settore, disponibile sul sito www.ingalessandrocaffarelli.it. Un analogo strumento si trova sul sito di Enel Si.

Dietro il successo e i numeri del fotovoltaico ci sono i generosi incentivi italiani. Si tratta del Conto energia, che remunera per 20 anni l’energia prodotta, e dello scambio sul posto, che permette di non pagare la bolletta per l’energia consumata. Gli incentivi, va ricordato, non sono destinati a durare in eterno, visto che il Conto energia starà in piedi, salvo ravvedimenti, solo fino al raggiungimento della soglia dei 1.200 MW di potenza installata in Italia (il che potrebbe avvenire entro il 2010-2011). Il crollo delle installazioni in Spagna dopo la riduzione degli incentivi indica chiaramente che la sola sensibilità ambientale non basta.

Discorso a parte, invece, per il solare termico. I pannelli solari che permettono di scaldare l’acqua e (nel caso di impianti di riscaldamento sotto i pavimenti) anche la casa, generano ritorni più modesti ma hanno il vantaggio di costare meno.

Come risulta da una simulazione effettuata sul sito di Enel.si, con un impianto in una villetta di Roma in cui vivono tre persone si risparmiano 128 euro all’anno rispetto alla bolletta con un un impianto a metano. Il Tasso interno di rendimento (Tir) è del 5,01% e la spesa è di circa 3.000 euro, di cui il 55% recuperabile in 5 anni grazie agli incentivi fiscali. Nella punta sud della Sicilia, invece, per il maggiore irraggiamento il Tir sale al 5,78%, mentre a Milano si ferma al 3,72 per cento. Se si fa un confronto con un impianto elettrico, il risparmio cresce molto, fino a 312 euro all’anno in una provincia molto assolata.

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24 May 2009

Su «Le Scienze»: Hamburger a effetto serra

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Centro Internazionale di Ecologia della Nutrizioneco2'

Nel numero di aprile di Le Scienze sono riportate diverse informazioni e statistiche sul consumo di carne in tutto il mondo, e l’articolo “Hamburger a effetto serra” sottolinea ancora una volta come la produzione di carne – e non solo di carne bovina, ma di tutti i tipi di carne – causi enormi emissioni di gas serra, molto maggiori rispetto ad altri settori di produzione.

L’articolo si conclude con un’esortazione chiara, che purtroppo di solito manca negli articoli sullo stesso tema delle riviste divulgative: quella a diminuire il consumo di carne. L’autore, Nathan Fiala, dottorando in Economia all’Università della California a Irvine, afferma nella conclusione: “Negli Stati Uniti e il resto del mondo sviluppato la gente potrebbe mangiare meno carne, in particolare bovina”.

Il dott. Fiala inizia il suo articolo notando come la maggior parte di noi sia consapevole delle conseguenze negative prodotte sull’ambiente dalle auto su cui viaggiamo, dalla’energia che consumiamo in casa o per la produzione industriale, ma invece quasi nessuno si renda conto che “la carne presente nella nostra dieta è responsabile dell’immissione in atmosfera di una quantità di gas serra – anidride carbonica (CO2), metano, ossido di azoto e simili – maggiore di quella immessa dai mezzi di trasporto o dalle industrie”.

Eppure questi dati sono noti già da qualche anno: la FAO stessa nel suo dossier del 2006 “Livestock’s long shadow” (La lunga ombra del bestiame) attesta come il settore della produzione di carne sia causa del 18% delle emissioni totali di gas serra dovute alle attività umane, una percentuale simile a quella dell’industria e molto maggiore di quella dell’intero settore di trasporti (che ammonta a un 13,5%).

Certamente qualsiasi alimento che consumiamo, sottolinea il dott. Fiala, comprese frutta e verdura, implica dei costi ambientali, ma questi costi per la produzione di frutta e verdura sono niente rispetto a quelli necessari invece per la produzione di carne e altri alimenti animali.

In un rapporto preparato per la città di Seattle, Daniel J. Morgan dell’Università di Washington, ha calcolato che coltivare circa 225 grammi di asparagi in Perù per poi importarli negli USA genera un totale di 91 grammi di gas serra CO2 equivalenti. Ebbene, Susan Subak, economista ecologica all’Università di Seattle ha calcolato, nel 1999, che per produrre 450 grammi di carne di manzo si generano 6,7 kg di gas serra CO2 equivalenti, cioè, a parità di peso, 36 volte tanto rispetto agli asparagi!

Questo è dovuto a vari fattori, viene spiegato nell’articolo su Le Scienze: alle emissioni di metano dei bovini durante il processo digestivo; al “fattore di conversione”, cioè al fatto che allevare un animale richiede un’igente quantità di mangime (coltivato appositamente) per unità di peso corporeo; e ai rifiuti prodotti dagli allevamenti.

In merito al rapporto di conversione, l’articolo spiega che nel 2003 Lucas Reijnders, dell’Università di Amsterdam e Sam Soret della Loma Linda University hanno stimato che per produrre un kg di proteine da carne bovina servono più di 4,5 kg di proteine vegetali, con tutte le emissioni di gas serra che implica la coltivazione di cereali per i mangimi.

Le stime del dott. Fiala confermano chiaramente che lo spreco dovuto alla trasformazione vegetale-animale vale per ogni specie: per produrre 450 grammi di carne di maiale si genera l’equivalente di 1,7 kg di CO2, per il pollo 0,5 kg, che sono, rispettivamente, 9 e 3 volte di più rispetto all’impatto della produzione di asparagi, e gli asparagi, tra i vegetali, sono tra quelli a più alto impatto. Il confronto con altri vegetali, più basilari per l’alimentazione umana, è ancora più a favore del consumo di vegetali anziché di carne nella dieta quotidiana delle persone.

Inoltre, i numeri sopra citati valgono per un tipo specifico di allevamenti, quelli che seguono il sistema “CAFO”, vale a dire allevamenti intensivi basati sui “recinti da ingrasso”. Altri tipi di allevamenti sono anche di molto peggiori, in termini di impatto sull’ambiente: i dati FAO indicano che le emissioni medie mondiali generate per le produzione di 450 grammi di manzo sono diverse volte superiori rispetto alle quantità generate col sistema CAFO.

Eppure, il comsumo globale di carne è in aumento di anno in anno: i dati del World Watch Institute del 2009, sempre riportati sul numero di aprile di Le Scienze, ci dicono che solo dal 2007 al 2008 si è passati da 275 a 280 miliardi di tonnellate di carne prodotta; i tre maggiori produttori che sono la Cina, gli USA e il Brasile. I paesi industrializzati continuano ad avere consumi molto alti, mediamente 80 kg di carne pro-capite l’anno. I paesi in via di sviluppo sono a quota 30 kg l’anno pro-capite, ma lì i consumi stanno aumentando vertiginosamente: il 60% della produzione globale di carne viene oggi dai paesi in via di sviluppo, che copiano il modello profondamente sbagliato e ambientalmente insostenibile dei paesi industrializzati.

Nell’articolo “Hamburger a effetto serra” troviamo anche altri dati interessanti, che confrontano le emissioni CO2 equivalenti derivanti dalla produzione di una data quantità (225 grammi) di vari cibi confrontata con le stesse emissioni di un viaggio in auto. Si scopre così che per la produzione di 225 grammi di patate si emette una quantità di CO2 pari a quella generata dal guidare un’auto per 300 metri. Per la stessa quantità di asparagi, è come guidare la stessa auto per 440 metri. Per la carne di pollo, molto di più: 1,17 km, per il maiale 4,1 km, per il manzo 15,8 chilometri.

Tutto questo è chiaramente non sostenibile, ma la buona notizia è che la soluzione è a portata di mano, e alla portata di tutti. Non dipende dalle istituzioni internazionali o dai governi nazionali, ma solo da ciascuno di noi: diminuire – il più possibile – il consumo di carne e di altri alimenti animali come latte e uova è qualcosa che possiamo fare subito, abbiamo il potere e la responsabilità di farlo.

Fonti:

Le Scienze, “Hamburger a effetto serra” e “La produzione di carne”, aprile 2009

Fiala N., “Meeting the Demand: An Estimantion of Potential Future Greenhouse Gas Emission from Meat Production”, Ecological Economics, vol. 67, n. 3, pp. 412-419, 2008

Articolo originale: http://www.nutritionecology.org/it/news/news_dett.php?id=751&